By Guido Ceronetti

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E così l’arte, il lavoro, le città, le religioni... Anche nei sogni si sono fatti rari. Scomparso l’ultimo uccello non impagliato, non ingabbiato, non impaginato, avremo il mondo illimitatamente razionale verso il quale ci spinge la nostra impazienza di vivere privi di qualsiasi ragione di vivere. Un mondo clinicamente morto. Ma in questo insuperabile deserto un superstite occhio invisibile – ai nostri cacciatori potrebbe esserne sfuggito qualcuno – si divertirebbe a ripescare, tra le esalazioni delle pattumiere razionaliste, i giornali dove i trionfi della vita sulla morte e della luce sulle tenebre erano dedotti dalle percentuali della Produzione e del Reddito, e la felicità pubblica, il bene privato e il Bene assoluto fatti dipendere dallo sviluppo del sistema industriale e dall’aumento di potenza tecnologica.

Il Male indossa la sua vecchia maschera, quella del Bene, e Bernadette è abbandonata ai suoi inquisitori e al loro braccio secolare. Bisognerebbe dire, forse, che si abbandona a loro. La sua partecipazione consensuale al proprio castigo di perfetta innocente è il punto più impenetrabile di questa storia. Bernadette si è probabilmente persuasa, nella caldaia magica dov’è stata gettata da una banda di pacifici indemoniati, della sua trasformazione in un essere ripugnante, un mostro. Accetta di essere un esempio di perversione, contagiata dal Male, che si specchia adesso in lei, contento.

Facendo il proprio ritratto, dichiara di essere poco sensibile alla pietà, anzi di desiderare di esserne del tutto privo. «Tuttavia,» commenta «non c’è niente che non farei per il sollievo di una persona afflitta, e credo effettivamente che si debba far di tutto, perfino testimoniargli molta compassione del suo male, perché i miserabili sono così stolidi che questo gli fa il più gran bene del mondo; ma ho per principio che bisogna limitarsi a testimoniare la propria compassione, guardandosi accuratamente dall’averne».

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